lunedì 14 luglio 2014

Maggiore flessibilità equivale a maggiore precarietà

Il “Jobs Act” di Renzi è la solita promessa non mantenuta, la
solita fregatura



Il Presidente del Consiglio Renzi la chiama flessibilità, noi pensiamo che il termine più corretto per definire tale 
fenomeno sia precarietàNella riforma del lavoro denominata “Jobs Act”, il Governo a maggioranza PD, in continuità con i Governi che lo hanno preceduto, va ad aumentare e sostenere la precarizzazione dei rapporti di lavoro. Si ostinano a pensare e professare che il problema principale del mercato del lavoro in Italia sia la rigidità dei contratti e non la carenza di domanda causata dalla crisi finanziaria e dal conseguente impoverimento generale.


Questa riforma (decreto legge approvato in via definitiva il 7 Maggio 2014) prevede che le aziende o piccole imprese possano rinnovare i contratti a termine sino a cinque volte in tre anni, rendendo fattibile spezzettare il rapporto di lavoro in minicontratti di sei-sette mesi, salvo licenziare il lavoratore al termine dei tre anni per poi assumerne uno nuovo con le stesse modalità- Allungando il periodo di prova da uno a tre anni si scoraggiano le nuove assunzioni, disincentivando a puntare sulla forza lavoro. Come avverrà la così tanto decantata crescita economica?

Circa i contratti di apprendistato le cose non cambiano, infatti viene eliminato sia l’obbligo a fare formazione, sia quello di assumere a tempo determinato almeno il venti per cento degli apprendisti prima di avviare nuovi contratti di questo tipo, annullando di fatto la differenza fra questa tipologia di contratti e quelli a tempo determinato. La maggioranza dei giovani, qualora fossero “addirittura baciati dalla fortuna”, entreranno nell’universo lavorativo subendo la precarietà della propria occupazione, senza certezza del futuro e costantemente sotto minaccia e ricatto, riducendosi ad accettare diminuzioni del salario e dei diritti, pur di recepire un minimo di reddito, che poi si vedranno usurpato a causa della politica di pesantissima austerità messa in atto sempre da questo discutibilissimo Governo criminale (qui si dovrebbe aprire un enorme altro capitolo). 

Le stesse problematiche si presenteranno anche a chi più giovane non è, ma avendo perso il lavoro è alla ricerca di un sostentamento. Se poi una donna si ritrovasse in stato di gravidanza, basterà non rinnovarle il contratto alla scadenza per dribblare il vincolo di non licenziamento, quindi niente indennità di maternità piena e non potendo dimostrare di avere un contratto di lavoro di durata almeno annuale sarà pure difficile iscrivere il proprio figlio all’asilo nido.

Questi i contenuti del decreto legge, che verrà completato con una seconda parte, in fase di approvazione entro l’anno, che riguarderà: ammortizzatori sociali; applicazione dell’articolo 18; revisione dei salari; creazione di un agenzia per il lavoro. Certi di altrettante bastonate ai lavoratori, ai disoccupati ed ai precari, ci riserviamo di attendere l’ufficialità di questa delega al “Jobs Act”, per riferire al lettore, a mezzo articolo, nel dettaglio le novità che giungeranno. 

I sindacati confederali, a parte qualche frase di disapprovazione della FIOM, si comportano come di consueto ultimamente, ovvero non mettono in atto nessuna protesta, nessuna mobilitazione, nessuna lotta, niente di niente. Solo i sindacati di base hanno manifestato a Roma, in altre città ed in alcune realtà lavorative, senza riscontrare purtroppo la giusta visibilità e senza ottenere nulla, sino ad ora, dal Governo. La promessa del Sig. Renzi: “Contratto unico a tutele crescenti”, al solito non mantenuta ed anzi soppiantata da un’altra bella fregatura colossale. Perseverare è diabolico ma per questo Governo, sul quale pesano ormai centinaia di suicidi, è del tutto normale spalleggiare il profitto scellerato di pochi a discapito delle persone comuni: più potere e ricchezze per aziende e banche, meno liquidità e soprattutto diritti per la popolazione.

Non c’è da stupirsi se la disoccupazione aumenta a dismisura continuamente, le misure adottate sino ad ora dai Governi che si sono susseguiti, dall’avvento della crisi economica, sono sempre andate in questa direzione, ciò a spiegare il termine “perseverare” usato poc'anzi.

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